Dalla Svizzera a Roma attraverso il Sud Italia
Arcangela Felice Assunta Job Wertmüller von Elgg Español von Brauchich è diventato, in arte e per tutti, Lina Wertmüller: nome più breve e meno impegnativo, certamente più consono al mio “timbro” e al mio modo di essere, ma non alle mie origini che, come dimostra il laborioso svolazzo di appellativi, un tempo erano nobili assai.
Poi, rapida, la caduta, anzi, a dirla tutta, una specie di tonfo: dalla Svizzera al profondo Sud. Prima Napoli, poi Palazzo san Gervasio, un paesello ameno al confine tra Puglia e Basilicata, dove ho girato il mio primo film, i Basilischi. Chi avrebbe potuto mai immaginarlo ai tempi del bisnonno Federico, che si era trasferito lì per qualche motivo (disperso, come il blasone, nei meandri delle memorie di famiglia)? Che fortuna, però! Il sole dell’Italia invece dell’algida Svizzera!
Nata “discola”
Sono nata a Roma nel 1928, secondogenita di una famiglia borghese. Poiché il buongiorno si vede dal mattino, mi diedi da fare, sin dalla più tenera età, per dimostrare che, come pensava la mia nonna paterna, ero una “speciale”, vale a dire una dannata rompiscatole: curiosa, estroversa, una con l’argento vivo addosso, attiva di giorno e di notte (ho sempre conservato la stessa insonnia di allora), forse troppo allegra e piena di energia per vivere una vita che, dormendo poco o nulla, non fosse lunga quasi il doppio di quella di una persona “normale”.
Cacciata da 11 scuole, ero pestifera, un vero maschiaccio. La disciplina, lo studio: tutte cose contrarie alla mia natura.
Flora, l’arte e la “dolce vita”
Quello con Flora Carabella (che poi divenne moglie di Mastroianni) fu un incontro davvero speciale. Eravamo ragazzine, amiche del cuore. Suo padre era un musicista, la sua una casa d’artisti. Compresi subito, per istinto, che quello era il mio luogo: lì volevo stare, lì sarei stata per sempre. A Flora devo se ho fatto questo lavoro, lei ho seguito quando lasciò il Liceo e si iscrisse a una scuola di recitazione (solo che io scelsi il maestro Scharoff invece dell’Accademia Silvio D’Amico). Così è nato tutto: il mio amore per il teatro, quello per il cinema, per la regia, per la scrittura.
Ho cominciato a lavorare come aiuto di famosi registi teatrali come Salvini e De Lullo.
Poi conobbi Garinei e Giovannini, la leggendaria coppia di autori che firmò i grandi successi del teatro leggero di quegli anni. D’inverno mi occupavo di teatro drammatico, d’estate di quello musicale: e fu un connubio felicissimo, che arricchì notevolmente il mio orizzonte professionale e umano.
Nel periodo di Garinei e Giovannini, che durò 7 anni, feci un lavoro da “negro”, come amo dire, grazie al quale imparai un sacco di cose. Scrivevo brogliacci dalla mattina alla sera ma dalle 20 in poi cominciavo a vivere: le bellissime notti romane si animavano di scorribande e di pazze risate. Dormivo tre ore per notte, ma non mi è mai pesato.
Federico
Poi conobbi Federico Fellini, uno dei “numi tutelari” della mia vita. Lui era un grande uomo, prima di tutto; poi un grande uomo di cinema e un grandissimo amico, e poi, ancora, un grandissimo talento. In realtà mi sfuggono il come e il quando del nostro primo incontro: suppongo che sia stato a casa di Flora, dove feci molte delle mi conoscenze. Sono stata aiuto regista di Federico nei film “La dolce vita” e “8½”, che uscirono, rispettivamente, nel ’60 e nel ’62: uno dei periodi più belli della mia vita. Federico era un amore, era l’arte della fuga, l’arte di riuscire a squagliarsi lasciando qualcuno al suo posto. Stare con lui era come trovarsi davanti a una finestra aperta su mondi sconosciuti. Era il mago che ti fa sognare e il compagno di marachelle con cui giocare: sempre un po’ bambino, sempre bonario e amorevole come un amico d’infanzia.
Quando seppe – passeggiavamo insieme sulla spiaggia di Fregene – che mi apprestavo a girare il mio primo film come regista, con grande affetto mi raccomandò di non farmi impressionare dai commenti tecnici che gli addetti ai lavori avrebbero elargito con grande magnanimità in relazione al mio debutto dietro la macchina da presa. Avrei dovuto raccontare il film senza troppe preoccupazioni, nello stesso modo in cui si racconta una storia a un amico al bar: se avevo talento da narratrice l’avrei raccontata bene altrimenti non ci sarebbe stato niente da fare perché tutta la tecnica del mondo non avrebbe potuto aiutarmi.
La passione vale più dei premi
Girai quell’opera prima, I basilischi, in grande economia e solo grazie al fatto che Gianni Di Venanzo, direttore della fotografia di “8½”, pur sapendo che non c’era una lira, venne per simpatia nei miei confronti portandosi dietro tutta la troupe
Il film, di cui scrissi anche il soggetto e la sceneggiatura, fu premiato al Festival di Locarno con la Vela d’Argento e poi ricevette altri quattordici premi. E così fui subito catalogata come una “regista impegnata”.
Non amo i premi…tutti sanno che quando fui candidata agli Oscar per “Pasqualino sette bellezze” non presenziai alla cerimonia: sono tutte sciocchezze, cerimonie del cavolo. Per carità, sono molto grata, riconoscente… Ma l’importante è fare bei film, non celebrare. Mi piace il lavoro, non l’onorificenza.
Lo dico sempre ai giovani: quel che conta è la passione. Se c’è una grande passione, la si deve onorare, bisogna dedicarcisi con tutte le proprie forze. Se invece non c’è, meglio cambiare mestiere. L’insuccesso non deve essere un ostacolo: si casca e ci si rialza. Tutto qui. La curiosità è la cosa più importante, per tutti i tipi di lavoro. C’è una relazione stretta tra il conoscere e l’incuriosirsi. È la curiosità che muove il mondo.
Il giornalino di Gian Burrasca
Sparigliare le carte in tavola è sempre stato nelle mie corde: così il fatto di essere considerata una regista di un certo spessore mi faceva sentire in prigione. Fu forse per questo che proposi alla Rai “il Giornalino di Gian Burrasca”, di cui feci la regia. Il libro, da cui lo sceneggiato fu tratto, l’avevo letto quand’ero a casa, perché era il preferito di mia madre. Lo confesso: il personaggio del bambino che una ne fa e cento ne pensa, combinandone di tutti i colori, sembrava fatto apposta per me, nel senso che mi ci riconoscevo molto.
Tra la fine del ’64 e gli inizi del ’65 lo sceneggiato fu trasmesso in otto puntate, di sabato, in prima serata, invece che per la Tv dei Ragazzi nel giovedì pomeriggio come previsto. Col grande Nino Rota, che fece le musiche, e con Rita Pavone nelle vesti del pestifero protagonista, fu un autentico successo.
Lo studente di Praga
Sempre nel ‘65 conobbi il mio “studente di Praga”, Enrico Job, cui devo la parte visiva di molti miei film: lui è stato l’amore della mia vita. Nostra figlia Maria Zulima, coi suoi occhi azzurri, me lo ricorda. Non so perché lo chiamai lo studente di Praga, ci dev’essere stato un motivo, ma adesso non lo ricordo più… Mi ritengo fortunata: sono stata amata e ho molto amato. Quello con Enrico è stato un incontro fatale, un autentico colpo di fulmine e uno di quegli amori che durano tutta la vita. Ci siamo spostati due anni dopo e siamo stati insieme per oltre 40 anni, fino alla sua morte, nel 2008.
Era un grande uomo… amico, amante, padre, figlio, fratello…era speciale. Integro e profondo, alieno da quella bricconeria che la gente di cinema deve un po’ avere per questioni di necessità; lui sì che era un grande artista, molto più artista di me, uno degli uomini più talentuosi che abbia mai conosciuto: pittore, costumista, regista, scultore, scrittore, scenografo…davvero uno spirito “rinascimentale” (l’unica definizione che si avvicina a doti come le sue).
Sui miei attori e sull’arte del recitare
“Mimì metallurgico ferito nell’onore”, “Film d’amore e d’anarchia – Ovvero “Stamattina alle 10 in via dei Fiori nella nota casa di tolleranza…”, “Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto”, “Pasqualino Settebellezze” …cito alcuni dei film per i quali sono più conosciuta. La mitica coppia Giannini-Melato… Che dire? Giancarlo Giannini è stato uno degli attori che ho amato di più, ma amavo nello stesso modo anche la Melato, sua partner in molti film. E ancora Mastroianni, la Loren…che attori! Era un piacere e un onore per me averli. E poi, in primo luogo, tutti grandi amici. Stiamo parlando di personaggi molto importanti della nostra cinematografia. I miei attori sono stati tutti bravissimi.
La capacità di recitare nasce con la persona, è un talento innato, non si impara: ci si lavora sopra, ma non è che si impara. È una qualità, come avere una bella voce e saper cantare.
Non si può immaginare l’incontro con un artista come una scuola: si lavora a un progetto “insieme a” e, perciò, lavorando “insieme a” inevitabilmente si impara.
Un artista è imprendibile, è come un venticello; sì, è come un vento, bisogna lasciarsi andare e volarci dentro quel vento lì. E’ bello l’artista. Secondo me è “la meglio cosa che c’è”.
Sul cinema
Un film, per essere un buon film, deve essere bello. Bello per tutti. Perché una cosa è bella quando lo è per tutti. Il cinema è un’arte corale: è fondamentale lavorare insieme. I collaboratori, in un lavoro come questo, sono importantissimi: ed è bene che siano amici perché il loro contributo abbia origine dalla stessa terra in cui germoglia la storia che andiamo a raccontare.
In fondo, anche la “modalità specifica” – cinema, teatro… – attraverso cui si racconta non fa troppa differenza. Lo spettacolo nasce dalla capacità di voler condividere una storia con qualcuno… Incontri un amico e ti racconta una storia: se tu l’ascolti vuole dire che la storia è interessante. Come ho già detto altrove, si raccontano all’umanità le storie dell’umanità. E il pubblico è il mondo.
Note finali
Ho scritto di me, e di tanti compagni di viaggio, nel libro “Tutto a posto e niente in ordine”. Se non ricordo male ho fatto 33 film, 32 sceneggiature e 5 libri. E i film, ognuno con una vita sua, che coincide con parte della mia, li considero figli: li amo tutti, non ne preferisco nessuno.
Ma, più di quello che è stato, mi piace pensare a quello che farò: forse un altro film, ho tanti progetti in cantiere, e magari un’altra autobiografia. Lavoro e scrivo sempre, ogni giorno, perché la chiave di tutto è sempre lì: nelle storie.