L’infanzia e gli inizi

Sono nato a Padova nel 1937. A sei anni, dopo i primi bombardamenti bellici, rimasi orfano di mamma e con mio padre mi trasferii nel paese dei nonni paterni. Allora i tempi erano molto difficili, ma ci si dava comunque da fare. Ricordo che con un coetaneo sottraevo munizioni da un deposito d’armi tedesco. Non mi rendevo conto del rischio, né ricordo che qualcuno me l’avesse insegnato, ma riuscivo a smontare proiettili e bombe per estrarne le polveri e scambiarle con chi caricava cartucce da caccia e altro.

Allo stesso modo, nel 1960, quando mi trovai fra le mani un ombrello giapponese, iniziai a osservarlo da dentro e, percependone una visione dinamica, smontai e rimontai le stringhe di bambù per capirne la costruzione e poi lo trasformai in una cosa che intitolai “oggetto ottico-dinamico”. In effetti, memore del Dadaismo e della poesia-oggetto, mi venne spontaneo considerare pittura-oggetto quella composizione perché combinava in un insieme le risorse della pittura e della modellazione plastica. A 22 anni iniziai la mia attività artistica fondando, nel 1960, insieme a Manfredo Massironi, allora mio inseparabile compagno di strada, il “Gruppo Enne”. In quel periodo furono inaugurati lo Studio Enne e la “Mostra chiusa. Nessuno è invitato a intervenire”. Per quanto ricordo, in quegli anni ero convinto che l’arte fosse e potesse diventare una lingua universale con cui comunicare al di là delle barriere create dagli individui e superare gli steccati nazionalistici.

Il cambiamento

I Gruppi nascono nel momento in cui ci si convince che l’artista non può essere considerato il genio, il creatore assoluto dell’opera. Non a caso il Gruppo nasce inventando e producendo opere che non vengono firmate. Sono, essenzialmente, collettivi creativi. Il gruppo però si sciolse nel ’64 e da quel momento ognuno seguì strade diverse.

Alcuni avevano attribuito la colpa delle cose che non andavano e delle incomprensioni a Massironi e soprattutto a me. Ma in verità nel ’64 l’arte del Gruppo e la nostra attività furono messe in difficoltà dall’avvento del sistema in sostegno della Pop Art.

Per noi, in quel momento, finì ogni velleità di sopravvivere con l’attività artistica e ognuno si dedicò ad altro. Io, invece, conservai la passione per l’arte e l’ho coltivata quasi come un vizio, anche quando, per sopravvivere, ho dovuto fare altri mestieri.

Poi bene o male sono riuscito a suscitare un nuovo interesse per l’arte ottico-cinetica, grazie alle creazioni artistiche costruite sulla base di precise illusioni ottico-mentali. In effetti i miei quadri generalmente cambiano aspetto a seconda dell’angolo di osservazione, dando la sensazione illusoria del movimento.

La mia ricerca vuole coinvolgere creativamente il fruitore conferendo animazione ed organicità alla materia. Tempo fa sono rimasto colpito dalla spontaneità di un visitatore del mio studio. Mi disse di non essere lui a guardare, ma di essere guardato dai miei quadri. D’istinto aveva superato le consuetudini e gli schematismi della cultura pittorica abituale. Ho combattuto sempre la staticità dell’opera cercando di animarla. Così un quadro diventa pulsante, materia viva, che si espande e si contrae irretendo con la sua forza attrattiva. Il fruitore, poi, scopre nuove dimensioni formali e inedite possibilità figurali.